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Il blog di VeM

Racconti (di viaggio) sotto l’albero | Isole Eolie Estate 2020 – parte 1
Vulcano – Foto di Tiziana Bertoldin

Racconti (di viaggio) sotto l’albero | Isole Eolie Estate 2020 – parte 1

3 Dicembre 2021

Un articolo a cura di Tiziana Bertoldin

Tiziana Bertoldin

Isole Eolie, 28 agosto – 3 settembre 2020

Eolie, dimora di Eolo, signore dei venti, Odissea canto decimo: ad Odisseo che approda Eolo regala un otre in cui sono racchiusi i venti e solo uno, Zefiro, è libero, quello che basta a sospingere a Itaca le navi. Ma i compagni di Odisseo, che da sempre si gioca da solo i rapporti con gli dei, con le maghe, con le ninfe, coi re, lasciando i compagni in attesa, non si fidano, dicono, Odisseo è furbo, astuto, Eolo gli ha donato un otre pieno d’oro e preziosi, torna in patria da ricco, e a noi nulla. Squarciano l’otre,  tutti i venti ne fuggono, si alza una grande tempesta, le navi rovesciate, sconvolte, sono risospinte ai piedi della rocca di Eolo. Odisseo risale al palazzo, chiede scusa, racconta. Ma Eolo non vuole sentire ragioni, il suo non è dono che si replica, Odisseo viene scacciato. Il viaggio periglioso continua, senza sconti. Così Omero.

Per noi invece il caos del porto a Milazzo, il sole battente. La gente si accalca, l’aliscafo è pronto a partire, si sale, ci si lancia nel mare, veloci, prima tappa: Vulcano.

Scesi al molo incontriamo Giuseppe, la guida: ci avviamo sotto un sole cocente per la strada in leggera salita verso la casa di Tanino, che ci ospita. Il vulcano è un tronco di cono, le pendici striate di roccia, di rado verde, di sabbie, di terra. Lassù saliremo a vedere il tramonto, a osservare il cratere, i fumi: scenderemo col buio.

Lungo uno stradello di sabbia nerastra il cancello di Casa Genovese: un vasto giardino, casette col patio, grezze, vecchiotte, due docce all’aperto, un porticato, le panche di pietra, con cuscini, una tavola. La porta della casa padronale fa intravedere un interno caotico zeppo di ricordi di viaggio: la casa di Tanino, circondato da amici. Le casette hanno due stanze ed il bagno, e fuori un bel patio, c’è il filo per stendere, le mollette, tutto intorno fiori, tralci, piante, fichi d’india. La doccia all’aperto è piacevole nel gran caldo, toglie la polvere, la fatica del viaggio. Manca l’acqua da bere. Alle isole non si può prenderla dal rubinetto, l’acqua va comprata, ogni volta. Con l’acqua in bottiglie grandi saliamo al vulcano. Dopo breve tratto asfaltato si prende a sinistra un sentiero sabbioso in salita. Ma non è sabbia, è polvere, nerastra polvere di terra di vulcano, quando il piede vi affonda si alza un odore penetrante, mai sentito, che pizzica il naso. Il sentiero è ineguale, sabbia prima, poi  terra indurita, color ocra chiaro, solcata da piccoli fossati. Il mare è blu vivo, nel verde dell’isola spicca il bianco delle case. Si sale con spirali, poi diritti. Il cratere sotto di noi è grigio, giallastro, con cerchi concentrici. Il sole arancione scende nel mare, tutto è limpido, dall’altra parte del vulcano si vedono campagne, la luce diminuisce. In cima un vento freddo: il sole scompare e sono visibili le fumarole di zolfo, bianche e gialle, grigiastre, si alzano l’una appresso all’altra. Dopo una sosta sulla cima iniziamo la discesa, attraversando le fumarole, attenzione, Giuseppe ci dice “tenete la faccia al vento, respirate aria buona” ma il vento gira, qualche zaffata acre arriva a noi che camminiamo tra i fumi. Fa buio rapidamente, con le lampade frontali facciamo di corsa il terreno ineguale, sul sentiero di terra e sabbia si vede un pulviscolo fitto nel cono di luce delle lampade. Si va a cena, siamo stanchi, fa caldo.

Al mattino tutti svegli nel portico dove uno degli uomini di Tanino ci serve la prima colazione. Bisogna comprare l’acqua, si va a Lipari, c’è l’aliscafo da prendere.

Lipari. Al  museo archeologico si trova la più importante raccolta di maschere teatrali del mondo antico, oltre due secoli di teatro greco, piccole maschere di terracotta reperite nella necropoli, accanto alle tombe, in forma di offerta. Le maschere accompagnavano il defunto, gli giacevano accanto. Teatro classico, maschere tragiche, comiche, satiresche: queste terrecotte esprimono anche i tipi umani, la vecchia saggia, la stolta, la giovane, il mercante, l’avaro, il dolente, il sofferente. Poi, bella e pura, più grande, una maschera di Dioniso.

Giornata caldissima. Un bus ci porta ad Acquacalda, verso il Monte Pilato. Il sentiero si snoda tra sterpi ed arbusti, sassoso, ma scricchiola sotto i piedi e luccica per la nera vetrosa ossidiana. Pomice, ossidiana: i caratteri di questo vulcano spento, il cui cratere è coperto di vegetazione. Cave di pomice davano lavoro a molta gente, fino ai primi anni del’900.  Arrivati al bordo del cratere, alla cresta, guardiamo verso il mare, ci sono arbusti bruciati, e un caldo che scotta: nessuno ha voglia di raggiungere la cima. Giuseppe dice, cerchiamo un posto all’ombra, più in basso, facciamo sosta, mangiamo. Lasciamo la cresta, scendiamo su di un largo sentiero sabbioso, ci sediamo nell’ombra. Poi ci avviamo in discesa, sollevando nuvole  di sabbia gialla, chiara, poi un sentiero ripido ci spinge giù in forte pendenza. Tra sottopassi umidi e scalini ineguali, arriviamo a Canneto, spiaggia di sassi, qualche casa, un bar con un portico, un tabacchi col display che segna 40 gradi. Qualcuno si ripara nel portico all’ombra, ordina granite al limone: dissetano più dell’acqua. La più parte di noi invece si spoglia nella spiaggia, si cambia in gran fretta, e subito in acqua: la bellezza del mare che ristora e rigenera. Come usciamo dall’acqua il sole ci atterra di calore, dobbiamo far presto, prendere il bus, l’aliscafo, tornare a Vulcano. Qui, grande caldo la sera: ripuliti, cambiati, si va a cena. siamo contenti la tavola è animata.

[continua…]