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Il blog di VeM

Racconti (di viaggio) sotto l’albero | Viaggio in Cambogia
Foto di balubotto

Cambogia | Racconti (di viaggio) sotto l’albero | Viaggio in Cambogia

10 Dicembre 2021

Un articolo a cura di balubotto

balubotto

Cambogia, luglio 2015: un sogno accarezzato da tempo diventato viaggio. Dico viaggio e non vacanza, perché ciò che da anni stavo cercando era la possibilità di fare una profonda esperienza di luoghi, cibi, culture e approcci alla vita decisamente estranei alla mia quotidianità per tornare a casa arricchita dagli incontri, nutrita dalla bellezza di immagini e persone, smaniosa di ripartire quanto prima per nuove mete altrettanto appaganti.

Anche oggi, rileggendo gli appunti di quei bellissimi giorni, mi ritrovo catapultata in quell’universo popolato di architetture per me nuove, di gente mite e sempre sorridente, di sommessa spiritualità, di caos metropolitano e di povertà sfacciatamente evidente.

21/07/15 Kep – h. 10

Respirando l’aria di mare nel sud della Cambogia, siamo in attesa del minivan che ci porterà a Sihanoukville. Intorno a noi le donne che si occupano della vendita dei granchi e davanti una barchetta di legno verde che rientra dalla pesca. Due uomini scendono con una cesta di bambù colma di pesce, attraversano il tratto di mare che li divide dal pontile immersi nell’acqua fino alla vita e sul molo qui di fianco a noi un gruppo di ragazze prepara un telo di plastica per la cernita del pescato.

Il mare continua incessantemente a borbottare e il suo fragore è tale da coprire le voci del mercato. Ogni tanto arriva un acquirente e immediatamente intorno a lui si forma un nugolo di donne, ognuna pronta a offrire la propria cesta zeppa di granchi. Il cielo è coperto, fa caldo, ma spira una lieve brezza che rende questo luogo un’oasi di benessere.

Il minivan arriva tutto sommato in orario, ma in compenso l’autista è piuttosto bizzarro e guida in modo tremendo! Su questo bus non mi sento molto tranquilla, ma evidentemente non sono l’unica, visto che John, la nostra guida, lo battezza come “crazy driver”! A parte guidare come un pilota di Formula 1, non fa altro che suonare il clacson ogni volta che incrocia un altro mezzo, un cane, una vacca o un pedone!

Nonostante il “crazy driver” arriviamo a Sihanoukville, una città costruita dal nulla per favorire lo sviluppo del turismo: le sue quattro spiagge sono un susseguirsi di bungalow e di bar per gli happy hour dei turisti occidentali. Facciamo un giretto a Serendipity beach e ci accomodiamo sulle poltrone in bambù a godere dell’atmosfera rilassata del mare con un succo e un bel piatto di frutta. John, nel frattempo, si dedica all’organizzazione del viaggio di domani al Ream National Park, risolvendo un piccolo intoppo con l’agenzia accreditata.

22/07/15 Sihanoukville

Alle 8 del mattino un’auto ci preleva dalla guest house e ci conduce ad un bar sulla spiaggia per consumare la colazione. In attesa del successivo passaggio in minivan assistiamo ai primi movimenti del giorno in questa cittadina e notiamo alcune donne Khmer che passano con il loro carico di gamberi e di scampi arrostiti o con pentole di noodles da vendere. Qui non ci sono cibi prefissati per i diversi pasti del giorno, puoi mangiare noodles o fried rice indifferentemente a colazione oppure a pranzo, o ancora a cena.

Arriva il nostro mezzo e in breve siamo pronti per partire. Attraversiamo risaie molto ampie, incrociamo bufali mollemente adagiati nelle pozze disseminate qua e là e in circa 40 minuti giungiamo all’ingresso del parco dove ci aspetta la barca con il ranger che ci accompagnerà nel tour di oggi.

23/07/15 rientro a Phnom Penh

Stamane rientriamo a Phnom Penh, la nostra vacanza sta davvero giungendo al termine. Dopo tanti spostamenti con i mezzi pubblici, oggi abbiamo scelto di rientrare con un’auto anziché con un bus, per essere certi di arrivare nella capitale in tempo per l’incontro con il referente del terzo progetto di questo viaggio, un centro di salute che ospita malati cronici o in fase terminale.

Ripenso alla giornata di ieri nel parco: la passeggiata nella giungla, la navigazione lungo il fiume, il planare circolare delle aquile sopra le nostre teste, le mangrovie e la stupenda spiaggia di fine sabbia bianca adornata da palme e da cespugli di bambù alle cui spalle si intravedevano piccoli pascoli per i bufali. Con un sospiro ed un sorriso ripercorro la magnifica sensazione della sabbia impalpabile sotto ai miei piedi e del caldo abbraccio dell’acqua di mare. Chissà se quella spiaggia dove imprese cinesi stanno completando un mega resort sarà in grado tra qualche anno di restituire la stessa pace infinta che io ho provato ieri.

Arriviamo puntuali a Phnom Penh, scarichiamo gli zaini alla guest house e in breve tempo siamo pronti per risalire sul nostro tuk tuk di fiducia e giungere all’appuntamento con Cristina. Lei è una missionaria laica bergamasca che opera in Cambogia dal 1996, non nel centro che visitiamo oggi, ma a Kompong Chnang dove si occupa di ragazzi disabili mentali.

Ci introduce alla direttrice del centro, una dottoressa di oncologia con un viso dolcissimo, che ci descrive come operano in questa struttura e quali malati ospitano. In questo momento ci sono sedici persone con malattie terminali o che necessitano di una lunga degenza. Uno di loro, affetto da un tumore ormai in fase finale, è qui da più di un anno.

Parliamo del sistema sanitario cambogiano che in pratica non esiste perché tutte le cure mediche sono a pagamento, dell’assenza di forme di prevenzione e dei tanti problemi legati alla mancanza di pratiche igieniche. A questo si aggiunge un forte livello di pudore per certe malattie, ad esempio le donne tendono a nascondere i problemi ginecologici, o di stigma sociale, tanto che in alcuni casi si arriva a discriminare chi è disabile o chi ha delle menomazioni fisiche. Cristina ci dice che nella lingua khmer il pronome usato per riferirsi alle persone o ai bambini con disturbi mentali è lo stesso attribuito ai polli o ai gatti che vivono in famiglia. L’attività portata avanti in questo progetto mira a formare collaboratori che verranno impiegati nelle varie province cambogiane per effettuare il primo screening delle patologie e per indirizzare i malati alle strutture più adatte a livello comunale, provinciale o governativo. Nel centro accolgono persone povere con malattie gravi che necessitano, ad esempio, di ossigeno o di cure palliative. Quando poi la situazione volge al termine i medici parlano con le famiglie perché decidano dove fare morire i propri ammalati. Qui prevale la cultura del morire a casa e molti decidono di tornare nei rispettivi villaggi prima che le condizioni fisiche impediscano gli spostamenti. Mentre parliamo un paziente viene congedato, si tratta di un ragazzo con una gamba amputata che, accompagnato da due familiari, va a morire a casa.

Continuiamo la visita parlando del significato di malattia e di morte nella religione buddista. I concetti di karma e di tolleranza guidano le coscienze; quindi, ogni cosa che la vita porta con sé viene accettata, compresa la malattia. Così spesso accade che le persone ammalate non si facciano visitare e che decidano di andare da un medico solo quando i sintomi diventano molto evidenti e spesso troppo avanzati per la cura.

Non posso fare a meno di notare le differenze caratteriali e culturali tra le due donne che ho davanti: Cristina è una donna volitiva, determinata, per nulla remissiva e con idee molto chiare e, considerato il lavoro che fa, non potrebbe essere diversa; la dottoressa invece è la tipica persona cambogiana con i modi delicati, la parlata sussurrata, i gesti lenti.

Altri impegni attendono le nostre ospiti, così concludiamo la visita incontrando due pazienti. Il primo è il signore che vive qui al centro da più di un anno: è magrissimo, ma alla domanda di Cristina su come si senta, sorride e risponde che sta bene. A seguire conosciamo un ragazzo di 27 anni senza le gambe e con una grave infezione che lo costringe a stare con il busto inarcato in avanti. Anche lui è sorridente e interagisce con Cristina che lo sprona a guarire e a trovarsi una moglie!

Quando usciamo dal centro siamo ammutoliti e decisamente scossi. Questa visita, che ci ha offerto spunti di conoscenza del sistema sanitario cambogiano e della percezione della malattia e della morte nella cultura di questo paese, ha lasciato un segno profondo nell’anima.

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