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Un viaggio di conoscenza in Serbia: Belgrado
I tetti di Belgrado. Foto di Giacomo Busi

Serbia | Un viaggio di conoscenza in Serbia: Belgrado

12 Gennaio 2023

Il racconto della nostra viaggiatrice Elisabetta durante il viaggio in Serbia dal 29 dicembre 2022 al 3 gennaio 2023 organizzato con i nostri partner di Confluenze. La prima puntata è dedicata alle storie e agli incontri a Belgrado

Quando decido di partire per un viaggio i motivi sono essenzialmente due, il primo è il bisogno di allontanarmi da tutto, alla ricerca di un respiro profondo sotto i cieli più belli d’Europa, in mezzo a un mondo naturale il più possibile vasto, vuoto di case e di gente, dove predomina un senso di pace e di infinito. Posso così immaginare, se ci metto grande  impegno, di trovarmi su un altro pianeta, dove i padroni sono l’oceano, il vento, la sabbia, le scogliere, lunghe distese di erica e licheni e l’uomo pare non abbia fatto danni. Non è proprio così, ma l’immensità e il silenzio aiutano. Per questo sono felice e beata  quando vado nel nord della Norvegia, in Islanda, sulle isole Aran o su quelle di Scozia e mi metto in cammino. Certe volte bisogna dimenticare l’affaccendarsi dell’umanità, l’indignazione sempre pronta a scoppiare, il male pronto a ghermirci attraverso il dolore e l’ingiustizia, le guerre del presente e del passato, la memoria di ciò che è stato.

Tutto questo perché amo la Storia e le storie e trascorro il resto dell’anno a leggere ogni tipo di libro che riguardi il passato, in particolare quello più recente, dal XVIII secolo in poi. Succede così che mi stanno a cuore i popoli che, in un modo o nell’altro, hanno sofferto e sopportato persecuzioni, violenze, regimi totalitari, stravolgimenti di confini e ogni sorta di occupazione non desiderata. Immergersi nella storia ogni tanto mi obbliga a prendere un respiro, una distanza.

Poi torno e riprendo le mie ricerche, le mie letture e i miei viaggi di conoscenza in Paesi che conosco poco ed è questo il secondo motivo che mi spinge a spostarmi.

Qualche anno fa intrapresi un viaggio in Bosnia-Erzegovina, Croazia, Montenegro e Albania e tralasciai la Serbia, così, quando lessi che ViaggieMiraggi stava organizzando un viaggio esperienziale in Serbia, decisi di partecipare. Ora sono tornata a casa, ma quel viaggio continua dentro di me e mi indica la strada, che è sempre quella della conoscenza e della comprensione. O almeno ci si prova.

Belgrado

Siamo partiti in quindici persone dall’Italia, eravamo in maggioranza donne, come quasi sempre succede, (ho una mia teoria sul perché di questa predominanza, ma non è questo il contesto) e siamo stati accolti a Belgrado da Eugenio Berra, la nostra fantasmagorica guida dalle mille risorse, appassionato conoscitore dei Balcani, che vive da molti anni in Serbia, dopo un paio d’anni a Sarajevo, in procinto oggi di trasferirsi a Zagabria.  Eugenio ha creato una rete di collaboratori, storici, sociologi, giornalisti, esperti di diritti umani e di politica, esponenti di Slow Food serbi e molti altri, ma è lui che coordina tutto il percorso turistico e conoscitivo nel Paese.

Prima di partire ci aveva inviato una ricca bibliografia e una raccolta di articoli e documenti da leggere, per arrivare  a destinazione con una certa preparazione ed eventualmente per sciogliere dubbi e trovare risposte. Per quanto mi riguarda,  più leggo e conosco, più le curiosità aumentano e il bisogno di risposte si acuisce, anche perché ci si accontenta sempre meno di generalizzazioni. La banalizzazione delle conoscenze mi suscita un profondo fastidio. Ecco, con Eugenio non c’è il rischio che questo accada. È una persona che approfondisce, che non si stanca mai di spiegare, anche se non è facile chiarire in pochi giorni la complessità di una storia che continuamente evolve, si modifica e  si rilegge alla luce di nuovi studi e di nuove testimonianze.

Mentre ci accompagnava in pulmino fino all’hotel, ci ha descritto il programma di viaggio, arricchendolo di piccole storie che riguardavano le osterie tradizionali della città, con la musica, la creatività, i vini, l’immancabile rakija, alle prugne, al melograno, alla cotogna. E che buone! I serbi dicono che aiuti la circolazione, il cuore, la digestione e faccia bene in ogni caso.

La Serbia è stata nei secoli un crocevia di civiltà e di Imperi, di lingue, popoli e religioni, una delle terre abitate e fertili già all’epoca dei Romani, di cui qualcosa rimane, come ci ha raccontato Sladja, che ci ha guidato il primo giorno alla scoperta del centro della città, soffermandosi soprattutto sulla storia della fortezza di Kalemegdan, costruita sopra le sponde del fiume Sava, nel punto in cui confluisce nel Danubio, e nucleo più antico dell’area urbana di Belgrado. Sotto i Romani divenne parte del limes danubiano a protezione del confine orientale dell’Impero, fino a quando, dopo varie incursioni dei Goti e degli Unni, divenne confine tra Impero romano d’Occidente e quello d’Oriente.

Via via la città passò di mano in mano, dai bulgari ai bizantini, poi dai serbi agli ungheresi che si fusero nel XII nel Regno d’Ungheria. Dopo alterne vicessitudini la fortezza e Belgrado vennero conquistate dall’Impero ottomano e rimasero sotto la dominazione ottomana fino al 1867, a parte circa vent’anni nel ‘700, quando divennero austriache. Gli austriaci costruirono allora degli ospedali e una farmacia, ma l’epidemia di peste e l’avvicinarsi degli ottomani spinsero la popolazione a rifugiarsi nella fortezza, favorendo così il diffondersi della malattia. La storia andò avanti tra conflitti e trattati tra serbi e ottomani, con alterne fortune per gli uni e per gli altri, fino a quando, allo scoppio della prima guerra mondiale il destino della fortezza si complicò, fino al bombardamento austroungarico del 1914/15.

Al di là della storia della città che Sladja ci illustrò la prima mattina, noi del gruppo cominciavamo a conoscerci e a prendere confidenza; scoprimmo di essere proprio un gruppo di persone in sintonia, nonostante le diverse provenienze ed età, avevamo in comune il desiderio di capire meglio il mondo balcanico, senza limitarci a ciò che sapevamo dai massmedia occidentali in merito alle ultime guerre balcaniche, fino al bombardamento NATO del 1999, avvenuto senza l’autorizzazione delle Nazioni Unite. Osservando i volti dei miei compagni di viaggio, tutti intenti ad ascoltare Sladja, chi per autentico interesse, chi per trovare qualche punto di debolezza o di critica rispetto a preconoscenze acquisite dai mezzi di comunicazione occidentali, perché c’è sempre qualcuno che viaggia portandosi dietro schemi culturali preconfezionati, provai a dare vita nella mente a immagini che mi riportassero al passato che ci veniva illustrato. Vidi così  l’affollarsi di gente comune intorno alla fortezza con la speranza di entrare, portandosi appresso i pochi averi, i bambini per mano, i vecchi macilenti, qualche carro carico di masserizie, le voci, le preghiere, i lamenti,  le grida dei pescatori in lontananza, gli ordini militari degli ufficiali che, da che mondo è mondo, decidono la sorte dei popoli e il cammino della storia. Provai a raffigurarmi il cielo tinto di rosso sopra il fiume, il rosso del sangue sulle rive, il riverbero delle armi sulle acque, archibugi, cannoni, moschetti, lance e giavellotti, la gente accalcata dentro o fuori le mura, i colori sbiaditi dei grembiuli femminili,  cori, canti, musica in sottofondo. Mi succede sempre quando incontro un periodo storico che mi viene raccontato o che vado a cercare nei libri: devo vederlo abitato da gente come me, come te e come tutti. La storia è sempre qualcosa di vivo e ci sono gli uomini e le donne che fanno la storia o la subiscono, altrimenti sarebbe un mero esercizio didascalico, qualcosa di freddo e di lontano. Per questo mi è piaciuto tanto il viaggio in Serbia con Eugenio e con i suoi collaboratori, perché tutto era vibrante di vita e di passione, perché il passato diventava presente e il cerchio della storia ci prendeva per mano e ci portava attraverso i secoli come testimoni.

Lo stesso è accaduto a Zemun, un quartiere di Belgrado che fu l’ultimo avamposto austroungarico, al confine con l’Impero Ottomano. E’ stato  semplice percorrere le strade e i vicoli del quartiere lungo la Sava, alla confluenza con il Danubio, l’atmosfera sembrava pervasa da una dolce nostalgia del passato, dalla stessa  aria tranquilla che si respira sempre sui lungofiume d’ogni città, coi caffè all’aperto, le passeggiate lente, le coppie che si tengono per mano, i ristoranti di pesce fresco, i profumi d’acqua dolce.  Si riesce persino a dimenticare che un tempo fu una città libera militare e un’importante zona commerciale, dedita ad ogni tipo di traffico e di scambio tra gli austriaci immigrati dal ‘700 e la popolazione serba di Belgrado e più tardi avamposto della resistenza serba al dominio turco. Ora è una zona urbanizzata dove s’incontrano artisti e pescatori o artisti che sono anche pescatori, come il fotografo che abbiamo incontrato noi e che ha trascorso tutta la vita sul suo fiume, fotografandolo in ogni stagione e in ogni dettaglio.

Il giorno successivo Eugenio ci ha presentato Milovan Pisarri, originario di Treviso e da anni ricercatore e docente presso l’Istituto di filosofia e teoria sociale di Belgrado, specializzato in storia contemporanea. Milovan è uno storico appassionato e ha provato a fare chiarezza sulla storia recente della Serbia, a partire dalla Prima guerra mondiale per arrivare alla Repubblica socialista federale sotto la presidenza del maresciallo Tito e, dopo la sua morte, alle guerre degli anni ’90 che dissolsero la Jugoslavia in varie nazioni, ancora non completamente rappacificate. Non è mia intenzione entrare nel merito di queste complesse vicende, l’unica riflessione che mi sento di fare è che la verità non è mai una sola, ma l’uso delle armi, della guerra, dell’intimidazione violenta non porta mai a una vera pace e i conflitti restano sotto una coltre superficiale di apparenza e di confusione, mentre i regimi indossano maschere e cambiano strategie, senza risolvere i problemi della gente. Convinta che la popolazione civile voglia vivere in pace, sentirsi al sicuro nella propria casa e nel proprio paese, permettersi la speranza, auguro a tutti, serbi, bosniaci, macedoni, kosovari, croati, un futuro comune di libertà autentica, di giustizia e di democrazia. Sono solo parole, le mie, ma altro non ho, un senso di impotenza mi prende alla gola e allora lascio un varco aperto alla speranza. Ho incontrato persone meravigliose in questo viaggio e, grazie a loro, credo che nessuno sforzo sia vano.

Presso l’Istituto italiano di cultura abbiamo avuto il piacere di assistere a un concerto per voce (Nevena Đoković)  e pianoforte (Maša Babić), seguito da una performance di archi a cura del trio Violeta Ćirić, Ena Vaganek e Magdalena Matić, tutte bravissime, nonostante la giovane età. La musica è una salvezza, un’emozione grande, allarga il cuore e ci accompagna lungo le nostre strade, preziosa come un tesoro raro. In Serbia si propaga dappertutto, entra nelle osterie e nei caffè, soffusa nelle hall degli hotel, briosa, trascinante, malinconica, tragica, commuove fino alle lacrime o riempie il cuore di passione e di desiderio. E’ un potente raggio di luce e solleva gli animi fino all’iperuranio, coinvolgendo tutti, senza quei limes, causa di tanta sofferenza. I musicisti hanno volti inebriati di sentimento, la rakija scorre tra le note come nettare divino e rende il cuore più leggero o più vibrante di passione, le dita danzano al ritmo dei cuori e rendono tutto immensamente vivo, in un istante di eternità che arriva alle radici dell’essere umano e ne scopre la potenza. E’ stato così bello sentire la presenza della musica in ogni luogo e capire quanto sia importante per continuare a esistere e a sognare.

Le storie piovono in mano, gocce di miele o spine di rosa, chi ha occhi dolci e sogni belli, chi si mangia le unghie per abitudini altrui che non capisce, chi parte e viaggia sempre per ogni dove, chi racconta percorsi di vini di Pannonia, chi corre tra i propri ricordi e te li getta addosso come scintille d’oro, chi descrive piccole storie di madri sole e di padri scrittori con racconti segreti e poesie nel cuore. Chi ti presenta una tavola rotonda di prelibatezze balcaniche e canta l’ultimo bacio.

 

Testo di Elisabetta Galli. Foto di Giacomo Busi