Il blog di VeM
Bosnia Erzegovina | Una meta insolita – parte 1
17 Ottobre 2023
Marisa, una nostra viaggiatrice, ci ha mandato il suo racconto sul viaggio in Bosnia Erzegovina che organizziamo assieme a Confluenze. Lo pubblichiamo a puntate: è molto ricco di dettagli, impressioni e spunti. Tutto da leggere per lasciarsi trasportare nell’atmosfera di viaggio!
Bosnia? E che ci vai a fare in Bosnia? Domanda di rito di coloro a cui comunicavo la destinazione della mia vacanza di fine anno. Ah, già, quelli che stanno facendo casino con le targhe? No, quelli sono Kossovo e Serbia. Ma il Kossovo non fa parte della Bosnia? La geografia dell’Europa sudorientale è misconosciuta ai più, anche a me prima che leggessi una vecchia guida sulla Bosnia Erzegovina, l’unica disponibile in libreria. Effetto collaterale del COVID, che per due anni ha congelato l’attività di aggiornamento e pubblicazione delle guide turistiche da parte delle case editrici.
La Bosnia, dicevamo, che confina con, o meglio, è accerchiata da Serbia, Croazia e Montenegro. Una meta insolita, non particolarmente gettonata, che proprio per questo solleticava la mia curiosità. Il tour operator era di quelli ecosostenibili, con un occhio di riguardo al sociale. E poi, per dirla tutta, quest’anno non volevo sentir parlare di aerei, di voli cancellati, anticipati o posticipati, di vacanze andate in fumo per overbooking. No, quest’anno solo treno e pullman, mezzi di trasporto rassicuranti e prevedibili. Sai quando parti e, più o meno, quando arrivi. Sedili comodi e bagaglio senza limiti di peso o dimensioni. Nei vagoni ci sono pure le prese di corrente, i corridoi dove puoi sgranchirti le gambe, un baretto per il caffè e gli snack. E quel dondolio che concilia il sonno.
Il ritrovo del gruppo era previsto a Trieste alle 13:00 del 29 dicembre. Serena ed io, amiche di cinema e viaggi, siamo partite il giorno prima per concederci qualche ora di relax extra in quella città. Cena a base di pesce in un delizioso ristorantino sul porto e la mattina successiva una visita veloce alla mostra di Banksy. Adoro le aggiunte e le deviazioni dal programma, far iniziare la vacanza un po’ prima e ritardare il ritorno per assaporare una manciata di ore di libertà prima di rituffarsi nel vortice della vita quotidiana. Mi sembra quasi di marinare la scuola.
Il giorno della partenza raggiungiamo puntuali il luogo del ritrovo, la Stazione Centrale di Trieste. È sicuramente quello, abbiamo pensato vedendo arrivare un vecchio pulmino acciaccato dal tempo e dagli innumerevoli chilometri percorsi. La targa e il modello facevano pensare a un paese dell’Est. E invece no, il veicolo prosegue per la sua strada. Ma ecco arrivare un fiammante pullman Mercedes, bianco e lustro come una porcellana di Limoges. Sul parabrezza un cartello con scritto Bosnia Erzegovina. L’autista, un ragazzo grande, grosso e silenzioso, ci aiuta a caricare borse e valige, sfoderando un bel sorriso.
Il resto del gruppo arriva alla spicciolata, in perfetto orario. Bene! Di solito un paio di ritardatari che accampano varie scuse ci sono sempre. Siamo in quindici, di cui dodici donne e tre uomini. Il quarto uomo è l’accompagnatore, Bojan, un serbo che abita a Trieste e parla perfettamente l’italiano. Non è una novità che il sesso maschile ai viaggi preferisca pantofole e divano. Per chi ancora non lo avesse capito, siamo noi il sesso forte e intraprendente.
Si parte. La prima tappa è estenuante: nove ore tra traffico, soste in dogana e strade provinciali. Il paesaggio viene presto inghiottito dal buio. Sembra di percorrere un lungo tunnel. I raggi della luna non riescono a forare lo spesso strato di nubi e le case sono rare e isolate. Ai pochi incroci, i lampioni lasciano intravvedere delle colline boscose sulla sinistra e una vallata sulla destra, solcata dalle acque limpide di un piccolo fiume, che ci accompagna lungo il percorso.
Finalmente, a un crocevia il pulmino svolta e imbocca una strada secondaria. La meta è vicina, penso. E invece continuiamo a correre per più di mezzora fino a raggiungere Jajce, una cittadina non particolarmente ridente dove veniamo ospitati in tre diverse location: due case private, pulite e confortevoli, e un alberghetto. Arriviamo affamati e stanchi. Il ristorante si trova nella prima casupola, sotto le nostre stanze. Sembra di entrare in una dacia d’altri tempi, con minuscole finestre, tendine ricamate, tovaglie rosse e sgabelli di fortuna. Il caminetto acceso rende il locale caldo e accogliente.
Tutta la famiglia del gestore è coinvolta nella preparazione della cena: madre e figlio si occupano della cucina, mentre il padre serve a tavola. Sono affabili e sorridenti, anche se parlano solo la loro lingua. Mi stupisce sempre come si riesca a comunicare anche soltanto a gesti e sguardi, come se la Torre di Babele non fosse mai esistita.
Il menù è fisso: una zuppa non meglio identificata e un gustosissimo gulasch. Per i vegetariani, una sorta di fregola sarda con cipolle e peperoni. Il tutto annaffiato da un corposo vino rosso. E per finire una porzione di baklava, dolce a base di sciroppo di zucchero tipico del sud-est dell’Europa e di molti paesi che si affacciano sul mediterraneo. La fame ha di sicuro giocato un ruolo fondamentale, ma cercando di essere obiettivi il cibo era davvero gustoso. Va detto che i veri viaggiatori hanno uno stomaco di ferro e un’insaziabile curiosità culinaria. Tutto è buono a meno che non sia immangiabile. Qualcuno ha però fatto notare che la fregola, gustata a Cagliari l’estate precedente, era meglio.
Jaice non ha luoghi di particolare interesse, tranne una cascata alla confluenza di due fiumi, il Vrbas e il Piva, e delle catacombe, buie e spoglie come tutte le catacombe. Le poche bellezze locali ci vengono però illustrate con entusiasmo e professionalità dalla guida del posto. Si tratta di un uomo giovane, esperto di storia, che ci fornisce molte informazioni sul passato vicino e lontano.
Cominciamo così a entrare nel cuore di questo misterioso paese, che una trentina d’anni fa ha vissuto una guerra tanto sanguinosa quanto assurda, un territorio cui è rimasto poco da offrire ai suoi abitanti. Parliamo di scuola e del fatto che non ci sia una vera politica di integrazione tra i vari gruppi religiosi ed etnici che risiedono in questo paese. Sì, perché sembra assurdo ma musulmani, cristiani ed ebrei hanno vissuto in armonia per secoli, prima che qualcuno decidesse che le differenze religiose ed etniche rappresentavano un grosso problema.