Il blog di VeM
Verso CAMMINARE, il Festival del Social Walking. Conosciamo gli ospiti: Elena Dak e Bruno Zanzottera
20 Novembre 2020
Un articolo a cura di Valentina Nargino
Manca poco ormai al IV appuntamento con “CAMMINARE, il Festival del Social Walking”, organizzato da ViaggieMiraggi con la collaborazione di Altreconomia e la media partnership di Radio Popolare. Come sapete il Festival sarà on line, trasmesso in diretta streaming gratuita sulla nostra pagina Facebook e sul canale Youtube. Qui sotto potrete trovare il programma con tutti gli ospiti che interverranno, ma se ancora non li conoscete condividiamo con voi una breve intervista che ci permette di scoprire qualcosa di più su di loro.
Conosciamo Elena Dak -antropologa- e Bruno Zanzottera -fotoreporter- autori del libro “Ancora in cammino” (Crowdbooks, 2020): un viaggio di ricerca al seguito dei Rabari, popolo nomade dell’India, per condividere le attività quotidiane delle famiglie che si spostano lentamente alla ricerca di pascoli. Una testimonianza unica dedicata all’ultima, forse, generazione di nomadi carovanieri di questa parte di mondo, al loro rapporto con l’ambiente e il mondo che li circonda durante i loro spostamenti.
Prima di tutto Complimenti. Ho letto con grande interesse “ancora in cammino”: le fotografie grandi e vivide, insieme al racconto, redatto in forma di aperte “diario di viaggio” scritto al presente, rendono la lettura molto coinvolgente.
- Chi sono i Rabari e come è nata l’idea di vivere l’esperienza raccontata nel libro?
Bruno:
I Rabari sono un popolo di pastori nomadi che abitano la regione del Kutch, un’area del Gujarat, regione indiana ai confini con il Pakistan. Anticamente allevatori di cammelli, oggi i Rabari migrano in piccoli gruppi composti da poche famiglie, le greggi e alcuni dromedari necessari per il carico e il trasporto delle masserizie: letti, oggetti per la cucina, abiti, culle.
Io mi sono da sempre interessato al nomadismo. Nell’ambito dei miei reportage è un tema che ho toccato varie volte. Un giorno di svariati anni fa avevo acquistato un libro sui Rabari ed ero rimasto affascinato dai loro volti e costumi. Poi come spesso accade, rimase una storia nel cassetto fino al giorno in cui incontrai Elena che mi parlò del suo progetto di seguire alcune famiglie Rabari in migrazioni. Conoscevo già il lavoro di Elena con i nomadi ed i suoi libri. Decidemmo quindi di affrontare questa avventura insieme per trarne un lavoro che avesse un doppio sguardo, antropologico e fotografico.
Elena:
L’antropologia oggi è una disciplina attenta alle realtà in trasformazione. Le culture sono sempre state porose e fluide, di fatto, ma a lungo si è pensato che i popoli, alcuni popoli cosiddetti “esotici”, fossero fermi nel tempo. Dal momento in cui ci si è resi conto che così non è, gli studi si sono dedicati alla comprensione delle dinamiche culturali calate nella contemporaneità. Per certo in questo secolo i cambiamenti sono stati per tutti molto più rapidi che in passato e dunque si fa molto interessante cercare d capire come le popolazioni dei pastori nomadi, mio ambito di studi, cerchino strategie di adattamento nelle società attuali.
Ero in India, nel Gujarat per lavoro, ferma a bere un tè nell’autogrill di un’autostrada quando ho intravisto qualcosa che si avvicinava. Piano piano mi resi conto che una carovana di donne Rabari, una decina circa, seguite ciascuna da un dromedario, stava camminando lungo la corsia di emergenza, sfiorata da decine di auto e camion, come se nulla fosse. Quella visione è stata per me scatenante. Non potevo resistere all’idea di seguire un giorno le loro tracce. E così, insieme a Bruno, si è deciso di partire e camminare.
- Il libro è diviso in due parti, due migrazioni distinte vissute con due dang (gruppi di famiglie) differenti durante la stagione secca durante il monsone. Quali tratti distintivi delle due migrazioni avete riscontrato?
Bruno:
Dopo il primo viaggio di 1 mese, realizzato tra novembre e dicembre, durante la stagione secca, fu chiaro che per realizzare un lavoro il più possibile completo, sarebbe stato importante seguire le loro migrazioni anche durante il monsone per vivere e documentare come le famiglie si adattassero a questa situazione. Inoltre quel periodo era anche quello in cui si svolgevano le cerimonie come i matrimoni. Decidemmo quindi di tornare per entrambe queste situazioni: assistere alla vita e organizzazione sociale e seguirli nuovamente durante la stagione delle piogge, anche se l’anno in cui ci andammo il monsone si rivelò abbastanza debole ed nel territorio dove i Rabari migravano normalmente non c’era acqua sufficiente per le greggi. Ci trovammo quindi a viaggiare in territori ancora più antropizzati con svariate problematiche per i Rabari che si scontravano quasi quotidianamente con persone che li cacciavano dai campi dove portavano a pascolare le greggi.
Elena:
Gli aspetti climatici, che in India sono decisamente diversi a seconda della stagione secca o monsonica, condizionano i ritmi, la gestualità, le scelte e dunque era importante essere con i pastori Rabari anche sotto le piogge estive. Osservare i loro cambi d’umore, le diverse tecniche di accudimento degli animali a seconda del clima, la scelta dei percorsi, la relazione con le masserizie inzuppate d’acqua. Fu interessante per me scoprire che, a parte i bambini più piccoli, gli adulti non si riparano in alcun modo dalla pioggia e si comportano e camminano entrando e uscendo dalle pozzanghere, come se non stesse piovendo. Le donne, a momenti, si toglievano i veli colorati dal capo, li strizzavano con forza, e li riponevano allargati sul capo come se si dovessero riparare dal sole.
- Le magnifiche foto di Bruno Zanzottera sottolineano lo stridente contrasto tra le rotte eterne invisibili dei Rabari e la dura concretezza delle Infrastrutture contemporanee. Cosa sopravviverà di questo popolo e cosa, a vostro parere, si perderà irrimediabilmente?
Bruno:
Il terribile terremoto che ha investito il Gujarat nel 2001, ha fortemente cambiato la geografia della regione. Per favorire la ricostruzione il governo ha concesso condizioni fiscali particolarmente favorevoli. Si sono in questo modo trasferite in Gujarat una serie di industrie di vario genere ed è stata realizzata una notevole infrastruttura stradale stravolgendo per sempre il volto di una regione fino ad allora principalmente rurale. I Rabari si sono trovati in questo modo a condividere le proprie rotte migratorie con le ciminiere delle fabbriche, giganteschi campi di pale eoliche ed a percorrere molti chilometri lungo le corsie di emergenza delle autostrade. Questo fatto e anche l’inevitabile modernizzazione che sta investendo tutta l’India di oggi, ci ha fatto capire che ci trovavamo di fronte ad un cambiamento epocale nella vita dei Rabari e che stavamo viaggiando con l’ultima generazione di nomadi carovanieri di questa parte di mondo.
Elena:
Come si suol dire nulla si perde davvero ma tutto si trasforma. La cultura dei Rabari si sta adeguando a una realtà geografica, sociale e climatica completamente stravolta come quella Indiana. Il Gujarat oggi è uno dei motori trainanti dell’economia indiana e le rotte dei Rabari se possibile li portano ancora più lontano di un tempo per cercare pascoli e dunque il nomadismo è ancora più spinto di un tempo. Probabilmente i nipoti e i figli delle persone con cui siamo stati in migrazione sceglieranno professioni stabili, e vivranno permanentemente in case di città. Forse varrebbe la pena di tornare fra una decina di anni per raccontare come davvero le cose sono cambiate.
- Durante il cammino avete affrontato terreni diversi passando dall’asfalto, al prato, al fango, nell’acqua oppure sotto la pioggia. Trovate che il paesaggio mutevole abbia influenzato pensieri e stati d’animo oppure l’intensità dell’esperienza era tale da fondere tutto in uno?
Bruno ed Elena:
A parte alcune difficoltà pratiche durante le piogge, non abbiamo vissuto le diversità climatiche e paesaggistiche in maniera separata. Gli stati d’animo potevano cambiare rispetto al mutare delle relazioni con le famiglie, a volte facili ed estremamente piacevoli altre più complicate e dure. L’importante per noi è stato l’osservare queste famiglie, immergendoci il più possibile all’interno del loro quotidiano cercando di capire le dinamiche che li guidano a questo stile di vita. Capire perché oggi ci siano popolazioni che continuano a vivere caparbiamente in territori molto difficili, sia per le condizioni ambientali, sia per la progressiva espansione delle zone urbanizzate o delle terre coltivate. Capire se, come scrive Jared Diamond: ‘Le società tradizionali rappresentano migliaia di esperimenti millenari nel campo dell’organizzazione umana, esperimenti che non possiamo ripetere riprogettando di sana pianta intere società, per poi osservarne i risultati dopo decenni: se vogliamo imparare qualcosa, dobbiamo farlo là dove questi esperimenti sono già stati compiuti’.
A noi non interessa idealizzare lo stile di vita nomade attraverso il filtro dell’esotismo né di osservarlo con sguardo intriso di retorica volto a raccontare culture immobili nel tempo mai esistite, ma di osservare i processi di convivenza o interferenza tra nomadi e contemporaneità, curiosando tra inediti equilibri e soluzioni non scontate. Tanto più alla luce dei cambiamenti climatici, sociali e strutturali che interessano tutto il pianeta, le genti e gli ambienti, la mobilità dei nomadi diventa una delle strategie di adattamento più efficaci.