Il blog di VeM

Sicilia | Con ViaggieMiraggi alle Isole Egadi – parte 2
2 Maggio 2022
Il giorno successivo siamo nuovamente a Case Romane, per dirigerci verso una cima più bassa, dal lato opposto di Pizzo Falcone: in direzione sud est, il cosiddetto Semaforo.
Questo è il nome di un edificio ormai quasi del tutto in rovina, sulla cima del monte Lissandro, a un’altezza di 515 m. Costruito nel 1888 doveva servire come segnaletica ai naviganti da un punto molto più in alto di un faro. Ma già nel 1912 il fabbricato fu abbandonato; nebbia, nubi, scarsa visibilità, non permisero di raggiungere i risultati sperati; così da allora è rimasto in stato di abbandono.
Il sentiero da Case Romane al Semaforo arriva sulla cima quasi delicatamente, tra fioriture bellissime: la Lithodora diffusa azzurro intenso, e il cosiddetto “tè siciliano”, Prasium majus, dai piccoli fiori bianchi.
Il tempo è grigio, burrascoso, c’è molto vento, la visibilità è minore del giorno prima. La cima del Semaforo è un’area importante per la migrazione di uccelli, come cicogne e rapaci; un campo base della LIPU si trova vicino al vecchio edificio, per identificare, censire e inanellare i rapaci in migrazione.
Scendiamo per un sentiero lungo il margine di un canyon, profondo alla nostra destra; ma è un sentiero agevole, che ci porta nei pressi del Faro, una costruzione dismessa. Si prosegue sotto un cielo che sa di pioggia e subito dopo compare la Punta Libeccio, una lunga penisola rocciosa, prevalentemente nera, con sfumature di rocce rossastre, frastagliata e protesa sul mare in direzione sud ovest. Qualche goccia comincia a cadere.
“Benvenuti in Cornovaglia” dice la guida un po’ scherzando un po’ no.
Sembra infatti di essere lontani dal Mediterraneo, e dal sud in generale: il cielo è basso e grigio, il vento teso, umido. In questo tratto che ci separa dalla Punta Libeccio, e che percorriamo tra detriti, sassi ineguali, terriccio rossastro, tracce di sentiero, fino a dove è possibile farlo – il termine ultimo della punta non è raggiungibile a piedi – le rocce hanno un colore scuro, prevalente dal grigio più chiaro al quasi nero, e così i ciottoli che troviamo vicino alla riva dove la guida ci conduce. Lui, geologo, spiega l’origine del colore della roccia, il suo provenire dalla dissoluzione più o meno povera di ossigeno di microorganismi, dalla presenza di cianobatteri, di minerali, e ci mostra, con la lentina contafili, la presenza dei cirripedi sugli ossi di seppia che il mare ha levigato e su cui i cirripedi si sono alloggiati.
Dalla cala in cui siamo scesi, vediamo il succedersi della linea rocciosa e ineguale della costa sud occidentale dell’isola: torri, cale, chiazze di verde, sassi e macigni, scogli.
Il tempo inclemente e il vento non ci permetteranno di compiere in barca il giro dell’isola, e certo perderemo qualcosa. Ma sarà anche una buona ragione per ritornare.
Lasciamo la Punta Libeccio ripassando per il Faro e da qui lungo un sentiero ampio e sterrato saliamo all’interno della pineta fino a un luogo di sosta nella località detta Carcaredda. Da qui scendiamo e raggiungiamo il paese.
Domenica di Pasqua. Apparentemente, nella notte, il vento e la burrasca hanno spazzato il cielo, che si presenta azzurro vivo e sgombro di nubi…. ma non dura a lungo. Il vento, il grecale, ha moltiplicato la sua forza, e da occidente avanzano nuvole grigie e compatte, abbastanza lontane. Noi camminiamo sul lato est verso Praia Nacchi, una cala che si raggiunge con qualche passaggio su roccette; la riva è sassosa, vi incombono rocce calcaree a strati, prevalentemente grigio marroncine. Da Praia Nacchi risaliamo verso Punta Bassana in direzione sud est.
Non pare una salita difficile, e di fatto non lo è, ma c’è il vento, più forte di tutti gli altri giorni Si arriva a una sella e davanti a noi un alto dirupo di roccia scura, ineguale e spigolosa. Ma la guida conosce un sentiero più basso, si evita l’arrampicata, e si va di lato, il sentiero si inerpica tra sassi e tracce, sale con decisione. Si raggiunge una sella ancora più in alto, dove finisce il sentiero battuto. Nuvole grigio scuro hanno coperto il Pizzo Falcone e le altre cime, in distanza Punta Troia è molto piccola e un po’ nebbiosa, mare e cielo fanno un tutt’uno di plumbeo azzurro. Per raggiungere la cima della Punta Bassana si cammina sulle rocce in pieno vento, alcuni lo fanno, gli altri aspettano. Alla cima di Punta Bassana una rozza croce fatta di due pali incrociati e un po’ sghembi segna il culmine.
Al il ritorno bisogna salire, lungo i sassi piatti che fasciano la montagna, passare attraverso arbusti, e la guida, trovato un passaggio in alto, per scendere attrezza una breve discesa con corde. Nessuno ha problemi a servirsene. Le ore sono sembrate lunghe, eppure non è nemmeno il momento del pranzo!
Abbiamo molto tempo ancora per noi. Così, al riparo dal vento, prendiamo per la località detta Zotta Muletti, sentiero a gradoni, poi sassi, e tornanti a scendere al mare.
Zotta Muletti è un bizzarro canale naturale che si configura come una barriera abbastanza alta di scogli che guardano il mare, dietro la quale si è scavato un lungo canale delimitato sul lato destro da rocce basse dolcemente digradanti, mentre sul lato sinistro vi sono grotticelle e cave, e al fondo, dove noi sostiamo, al bordo di un’acqua fredda, limpidissima e calma, una spiaggia di netti sassolini.
Muletti è il nome con cui i pescatori chiamavano i cefali: questi pesci si infilavano nel canale naturale e venivano facilmente catturati.
Godiamo di un gradito riposo a Zotta Muletti, il cielo si è aperto, c’è il sole, il grigio delle rocce è luminoso. La risalita non è faticosa e si torna per la strada Carcaredda, attraverso la quale si scende nuovamente alle porte del paese e lo si raggiunge, per uno spuntino al bar riparato della Scaletta.
Ma il vento riprende, le nuvole si addensano, e la sera, la nostra ultima sera a Marettimo, fa freddo e piove a raffiche: siamo incerti sulla partenza del giorno seguente per Favignana – partirà l’aliscafo del mattino? E come sarà il mare?
Il mare del giorno di Pasquetta è molto agitato. L’aliscafo arriva con ritardo, in effetti il viaggio che fa tappa a Levanzo e ci porta a Favignana è una prova non da poco per molti di noi.
A Favignana ci aspettano sole e vento, cielo limpido e colori vividi. La tonnara dei Florio è chiusa, non possiamo che girarle attorno. Noleggiamo le biciclette per l’itinerario cicloturistico di Favignana, che segue la costa, in parte su asfalto, ma per lo più su ghiaia e sterrato ineguale. Vediamo le cave di tufo usate in passato per estrarre materiale da costruzione e ora abbandonate, e le bellissime Cale: la Cala Rossa, tumultuoso insieme di rocce e mare, la Cala del bue marino, a picco sul mare con roccioni giallo ocra, la Cala Azzurra, spiaggia coperta da metri e metri di alghe secche, mare basso e limpido..
Tutto il percorso di costa è spettacolare, ricco di luce e colore: facendo un lungo anello torniamo nella piazzetta del paese. Abbiamo visto nitidamente la sagoma di Levanzo, più vicina, e quella acuta e puntuta di Marettimo, distante e arretrata, avulsa da millenni dalla terra ferma.
Finisce qui questa cronaca di viaggio In esso non mi sono sentita del tutto un’escursionista. Il viaggio è esplorazione, esperienza: toccare con mano, con piede, con occhi, e con tutti i sensi.